Come scrivere dell'Africa by Binyavanga Wainaina

Come scrivere dell'Africa by Binyavanga Wainaina

autore:Binyavanga Wainaina [Wainaina, Binyavanga]
La lingua: ita
Format: epub
editore: 66THAND2ND
pubblicato: 2024-08-20T00:00:00+00:00


16. UNA TRESCA DA SMEMBRARE

C’è un gioco che faccio sempre, un gioco che mi ha insegnato la signora Green, la mia defunta madre adottiva. Prendeva un foglio di carta e lo piegava, io le guardavo le mani mentre lo faceva, osservavo i tendini da pianista contrarsi, le strane vene azzurre. Poi mi chiedeva di disegnare la figura che le pieghe avevano formato sul foglio. Non sbagliavo mai.

Ieri sera, stordito dalla lettura spacca-cervello di La strada, l’opera teatrale di Wole Soyinka, sdraiato a letto a occhi chiusi ho evocato col pensiero un foglio gigantesco: l’ho piegato più volte su sé stesso, in modi che non avevo mai sperimentato prima. Poi gli ho spruzzato sopra una sostanza per renderlo friabile. Ho aperto gli occhi e messo su della musica: Moses Molelekwa al pianoforte, il pezzo che ha suonato al North Sea Jazz Festival di Amsterdam, quando è stato risucchiato dall’uragano della sua genialità e ne è riemerso in lacrime scoprendosi circondato da una standing ovation.

Ho chiuso di nuovo gli occhi, ho fatto un respiro e ho lasciato che il foglio si aprisse lentamente. Le pieghe si sono stese dentro la mia testa: angoli e triangoli brillanti e ombreggiati. Ho riso mentre rompevo il foglio lungo gli spigoli fragili, e le schegge di carta sono volate in alto nel crescendo del pianoforte. Poi, con calma, le ho fatte ritornare al loro posto. Le ho lanciate in aria di nuovo e ne ho perso l’ordine mentre ricadevano giù, e intanto Moses si chinava sul pianoforte per suonare qualcosa di intricato, rapito nel più fragile dei momenti, nel tentativo di destreggiarsi al limite delle sue abilità. Ho quasi percepito il suo sollievo mentre superava quella soglia e riprendeva il controllo di sé. L’ho raggiunto in questa sua vertigine, lanciando di nuovo in aria il miscuglio di frammenti, stupito di come la mia mente ricomponesse senza sforzo i pezzi di carta friabile. Poi lo strappo violento del nastro che si inceppa nel registratore da quattro soldi, e il piagnucolio della canzone che si bloccava. Giuro di aver sentito un rumore di vetri in frantumi quando le schegge di carta sono precipitate, aprendomi dei tagli mentre stramazzavo. Mi sono addormentato con il pensiero della signora Green in mente.

La prima volta che lei fece visita alla mia scuola a Murang’a, in Kenya, avevo otto anni. Vivevo in una bolla di tranquillità, e di fame, brontolii di stomaco condivisi, abituale come le distese di pannocchie non mature intorno a noi. Coi chicchi di caffè si compravano libri di testo e fertilizzante. Non avevo mai indossato scarpe.

Poi era arrivata lei e mi aveva chiesto di andare a vivere a casa sua. I miei genitori me lo permisero, intrigati da quello che aveva da offrire, intrigati da me, ora che avevano scoperto che sapevo giocare con i numeri e le parole che nessun maestro elementare del villaggio riusciva a comprendere.

La magia che la signora Green portò con sé era potente. Mentre ci allontanavamo in macchina, vidi le pannocchie intorno a noi



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